Pacino di Buonaguida

(Firenze c. 1280 - 1348 Firenze)

Madonna col Bambino in Trono, c. 1320

tempera su tavola, 45 x 23 cm (17.72 x 9.06 inches)

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Pacino di Buonaguida

(Firenze c. 1280 - 1348 Firenze)

Madonna col Bambino in Trono, c. 1320

tempera su tavola, 45 x 23 cm (17.72 x 9.06 inches)

Rif: 850

Provenienza: Collezione privata

Bibliografia:

M. Boskovits, The Fourteenth Century. The Painters of the Miniaturist Tendency, Firenze,
1984, p. 265, ill. Pl. CIX

Descrizione:

Assisa su un alto trono, decorato da un baldacchino rosso, la Vergine sorregge dolcemente il Bambino che da parte sua le cinge il collo col braccio destro e le tira leggermente il mantello con l’altra mano. Ai lati del gruppo sacro vi sono a sinistra san Pietro con l’attributo delle chiavi e una martire con corona e libro – forse individuabile in santa Caterina d’Alessandria, anche se manca ad identificarla la consueta ruota dentata –, mentre a destra compaiono i santi Paolo, con la spada, e Giacomo Maggiore, col bastone da pellegrino e il rotolo del Vangelo ad illustrare la sua missione apostolica.

La tavola è stata resa nota da Miklós Boskovits, il quale, nel primo volume del Corpus of Florentine painting da lui curato, la inseriva nel catalogo di dipinti dell’artista fiorentino Pacino di Buonaguida[i]. Questo maestro era noto soprattutto per la fitta attività di miniatore, attività che nondimeno lo vide a capo di una importante bottega, all’interno della quale sono state individuate dalla critica moderna diverse personalità autonome[ii]. Assai più sfuggente appare il suo profilo come pittore: l’unico dipinto firmato è il polittico con la Crocifissione fra dolenti e i santi Nicola, Bartolomeo, Fiorenzo e Luca, già sull’altar maggiore della chiesa di San Firenze e oggi nella Galleria dell’Accademia[iii]. Partendo da quest’opera prima Richard Offner[iv] e poi appunto Boskovits hanno tentato una ricostruzione coerente della carriera di Pacino che, stando ai documenti, si articolò in un intervallo di tempo assai ampio: dal 1303 – anno in cui egli viene menzionato in un atto notarile per la conclusione del rapporto professionale con un altro misconosciuto pittore, tal Tambo di Serraglio, segno nondimeno che all’inizio del secolo la sua attività era già iniziata[v] – fino a quasi la metà del secolo. Verosimilmente la sua formazione a Firenze fu precedente alla pur chiara influenza di Giotto che subì in seguito: sempre Boskovits, sulla scorta di quanto già sostenuto da Offner, inserisce difatti Pacino nel gruppo dei maestri della ‘tendenza miniaturistica’, autori di certo non impermeabili alle suggestioni prospettiche di Giotto, ma altresì testimoni di un’arte umorale ed espressionista che mostrava agganci soprattutto con l’indole del gotico d’oltralpe.

A proposito del dipinto qui introdotto lo storico ungherese – che nel 1984 sosteneva di averlo studiato solo attraverso una fotografia, e del quale dunque ignorava in quel momento anche la collocazione – lamentava a suo avviso la presenza di risecature su entrambi i lati, nonché di restauri che erano intervenuti sulle figure della Vergine col Bambino. Di tutt’altro avviso Boskovits si mostra in una lettera del maggio 2002, quando aveva avuto modo di analizzare il dipinto attraverso foto ad alta risoluzione: qui attesta le buone condizioni di conservazione della tavola, forse leggermente ridotta in alto dalla presenza della cornice aggettante, ma per il resto integra nelle sue parti[vi]. Particolare interesse suscitano i due stemmi collocati ai piedi del trono: quello a sinistra è certamente riferibile alla famiglia Barbadori, casata che del resto nel primo Trecento a Firenze aveva già raggiunto una notevole posizione di prestigio; più difficile individuare quello a destra, con un leone rampante, e che non compare nella banca dati dello Stemmario fiorentino, realizzata da parte della biblioteca del Kunsthistorisches Institut.

Come per l’intera attività pittorica di Pacino, è difficile proporre per la nostra tavola una datazione certa: di sicuro un punto di contatto può essere trovato con la tavola centrale dell’altarolo portatile già in collezione Marchi e oggi conservato alla Galleria degli Uffizi (una Madonna col Bambino in trono fra due sante martiri e i santi Pietro e Paolo, inv. 1890 n. 9806): opera questa certamente giovanile, forse riferibile all’inizio del secondo decennio del secolo[vii]. Tuttavia le figure dei quattro santi tradiscono impressioni dalle opere fiorentine di Giotto, che forse presuppongono il raggiungimento della maturità formale da parte di Pacino. Una datazione al 1320, in prossimità proprio del polittico di San Firenze, appare dunque la più verosimile.

 



[i] M. Boskovits, A critical and historical corpus of Florentine painting, III, 9, The fourteenth century. The painters of the miniaturist tendency, Firenze 1984, p. 265, pl. CIXa

[ii] La bibliografia riguarda l’attività di miniatore di Pacino di Buonaguida è ovviamente molto fitta. Per un ragguaglio generale rinvio a A. Labriola, voce Pacino di Buonaguida, in Dizionario biografico dei miniatori italiani. Secoli IX-XVI, a cura di M. Bollati, Milano 2004, pp. 841-843 e soprattutto a F. Pasut, Pacino di Buonaguida miniatore. Studi sullo sviluppo artistico e un catalogo ragionato, tesi di dottorato in Storia dell’arte (XVIII ciclo), relatore prof. Miklós Boskovits, Università degli studi di Firenze, 2006.

[iii] A. Tartuferi, in Galleria dell’Accademia di Firenze. Dipinti, I, Dal Duecento a Giovanni da Milano, a cura di M. Boskovits e A. Tartuferi, Firenze 2003, pp. 206-210, n. 39; F. Pasut, in Florence at the dawn of the Renaissance. Painting and illumination 1300-1350, a cura di C. Sciacca, catalogo della mostra (Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, 13 novembre 2012 – 10 febbraio 2013), Los Angeles 2012, pp. 104-107, n. 21.

[iv] Tra i contributi di Offner si menziona qui il primo: R. Offner, Pacino di Buonaguida, a contemporary of Giotto, in “Art in America”, XI, 1922, 1, pp. 3-27. Lo storico tornerà in seguito più volte sul pittore, per definirne il catalogo dell’attività. 

[v] R. Offner, A critical and historical corpus of Florentine painting, III, 2, The Fourteenth century. Elder contemporaries of Bernardo Daddi, New York 1930, ed. Firenze 1987, p. 64.

[vi] La lettera è indirizzata a Derek Johns e reca la data 2 maggio 2002.

[vii] C. Caneva, in Legato Marchi alle Gallerie fiorentine, Firenze 1985, pp. 8-9.