Maestro della Leggenda di Apollo e Dafne

(Attivo a, 1462 - 1542)

Crocifissione, sullo sfondo la Cupola del Brunelleschi, la Pescaia di San Niccolo e la Torre della Zecca, c. 1498

tempera su tavola, 45 x 30 cm (17.72 x 11.81 inches)

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Maestro della Leggenda di Apollo e Dafne

(Attivo a, 1462 - 1542)

Crocifissione, sullo sfondo la Cupola del Brunelleschi, la Pescaia di San Niccolo e la Torre della Zecca, c. 1498

tempera su tavola, 45 x 30 cm (17.72 x 11.81 inches)

Rif: 854

Provenienza: Collezione privata

Bibliografia:

G. Botta, Le collezioni Agosti e Mendoza, Milano 1937, n. 137, tav. XII

Descrizione:

Cristo viene descritto sulla croce nel momento del trapasso: egli abbandona la testa verso la sua destra, ha gli occhi chiusi e dalle ferite dei piedi del costato sgorgano copiosi rivoli di sangue. La croce è issata su una piccola protuberanza del terreno, a simboleggiare il Golgota, ma la scena è ambientata in prossimità dell’Arno che costeggia la città di Firenze – si riconoscono sul fondo la Torre della Zecca (all’epoca nota come “Torre della notomia”) e poco più indietro il profilo della cupola di Santa Maria del Fiore –. Ai piedi di Cristo si stagliano le figure di san Girolamo, collocato presso uno sperone di roccia mentre si batte il petto con una pietra in segno di contrizione, e di san Paolo, che invece è disposto davanti alla dolce salita di un colle alberato.

Il dipinto, che in origine doveva verosimilmente costituire la cimasa di una pala d’altare – oggi questa non individuabile –, era stato reso noto in occasione di una vendita presso la celebre Galleria Pesaro di Milano, che negli anni ’30 del Novecento aveva sede nel palazzo Poldi Pezzoli proprio accanto l’entrata del museo. Nel catalogo dell’asta del gennaio 1937 il dipinto veniva assegnato all’artista peruginesco Fiorenzo di Lorenzo, attivo soprattutto a Perugia tra il 1470 e il 1520[i]. Nella stessa sede si dava nota della provenienza della nostra tavola, già nella prestigiosa raccolta di Achillito Chiesa e più avanti ancora a Milano in collezione Agosti[ii]. Dopo il 1937 si perdono le tracce del dipinto, recentemente ricomparso sul mercato italiano. Andrea De Marchi ne ha giustamente ipotizzato l’attribuzione all’anonimo artista noto come il Maestro della Leggenda di Apollo e Dafne. Il gruppo stilistico relativo a questo autore era stato isolato da parte di Everett Fahy, a partire dallo studio di due fronti di cassoni con scene della Storia di Susanna, oggi sparse tra l’Art Institute di Chicago e il Walters Art Museum di Baltimora[iii].

Queste, al pari delle tavole di collezione Kress con la Storia di Dafne, oggi allo Smart Museum of Art di Chicago[iv], restituivano la fisionomia di un valente allievo di Sandro Botticelli, capace tuttavia di aggiornarsi anche su testi d’altra scuola a Firenze negli ultimi due decenni del XV secolo. Nicoletta Pons, cui si deve invece la ricostruzione dell’attività tarda di questo maestro – ben dentro il Cinquecento, in qualità prima di frescante assieme a Fra Bartolomeo della Porta nella chiesa del convento di Santa Maria Maddalena a Caldine di Fiesole[v], poi da solo in quanto autore della tavola con la Vergine della Misericordia presso il Conservatorio di San Giovanni Battista a Pistoia[vi] –, ha supposto con cautela l’identificazione dell’artista col misconosciuto pittore Giovanni di Benedetto Cianfanini (1462 – 1542), del quale le fonti tramandano l’apprendistato nella bottega di Botticelli e in seguito la collaborazione con Fra Bartolomeo e Piero di Cosimo[vii]. A prescindere dalla validità o meno dell’ipotesi della Pons, il Maestro della Leggenda di Apollo e Dafne, soprattutto nella fase iniziale della sua carriera, si propone come interprete di alto livello delle tematiche della tarda età laurenziana a Firenze e poi, ancor di più, di quelle dell’età savonaroliana, in linea dunque con la poetica del suo caposcuola.

Il dipinto qui in esame, ferma restando la pertinenza dei profili delle figure ai modi botticelliani e filippineschi mostrati già nelle suddette Storie di Susanna di Chicago e Baltimora, trova però forse il confronto più tangibile in un’altra più tarda Crocifissione, oggi alla Gemäldegalerie di Berlino (inv. n. 2144)[viii]. In questa tavola, dalle dimensioni molto maggiori rispetto alla nostra, tornano le figure dei santi Girolamo (questa volta inginocchiato) e Paolo, cui si aggiungono Giovanni Battista e Francesco d’Assisi. L’identità delle fisionomie e dell’impianto tra le due opere non lascia adito a dubbi: in entrambi i casi ci troviamo di fronte alla sottile interpretazione, da parte di un notevole maestro, della svolta retrospettiva impressa sull’arte fiorentina dal nuovo orientamento politico e culturale preminente in città nell’ultimo decennio del Quattrocento. La qualità narrativa e umorale della scena, tuttavia, non diminuisce la sottigliezza mostrata dall’artista nella stesura cromatica, dipendente certamente dalla maniera di Filippino Lippi ma che tradisce anche suggestioni dai modelli di Piero di Cosimo.

 



[i] G. Botta, Le collezioni Agosti e Mendoza, Milano 1937, n. 137.

[ii] I dipinti di Achillito Chiesa erano stati venduti a New York negli anni 1925-27, ma molti in seguito erano rientrati in Italia: si veda in particolare sulla raccolta: The Achillito Chiesa Collection, II, Italian primitives and Renaissance paintings, a small group of canvases by Flemish and French masters, New York 1926.

[iii] E. Fahy, The ‘Master of Apollo and Daphne’, in “The Art Institute of Chicago. Museum Studies”, 3, 1968, pp. 21-41.

[iv] F. R. Shapley, Paintings from the Samuel H. Kress Collection, I, Italian schools XIII-XV century, Londra 1966, pp. 130-131.

[v] N. Pons, Il maestro di Apollo e Dafne al convento della Maddalena alle Caldine, in “Antichità viva”, XXXI, 1992, 4, pp. 17-22.

[vi] Ead., Importanti opere perdute di pittori fiorentini a Pistoia e una aggiunta al Maestro di Apollo e Dafne, in Fra Paolino e la pittura a Pistoia nel primo ’500. L’età di Savonarola, catalogo della mostra (Pistoia, Palazzo Comunale, 24 aprile – 31 luglio 1996), Venezia 1996, pp. 50-53.

[vii] Ivi, p. 52.

[viii] La tavola, già assegnata da Berenson a Bartolomeo di Giovanni e dal Falke a Jacopo del Sellajo venne restituita al Maestro di Apollo e Dafne da parte di Everett Fahy: B. Berenson, The Florentine painters of the Renaissance with an index to their works, New York 1909, p. 99; O. von Falke, Die Sammlung Dr. Albert Figdor, Wien, Vienna 1930, n. 24; Fahy cit., 1968, p. 36, n. 6.