Rosalba Carriera
(Venezia 1673 - 1757 Venezia)
Ritratto della Contessa Revedin (Allegoria della Giovinezza e Purezza), c. 1740
pastello su carta azzurra, 51 x 40,5 cm (20.08 x 15.94 inches)
Rosalba Carriera
(Venezia 1673 - 1757 Venezia)
Ritratto della Contessa Revedin (Allegoria della Giovinezza e Purezza), c. 1740
pastello su carta azzurra, 51 x 40,5 cm (20.08 x 15.94 inches)
Rif: 858
Provenienza: Collezione Revedin, Ferrara
P. Zampetti, Dal Ricci al Tiepolo. I Pittori di figura del Settecento a Venezia, exhibition catalogue, Venice, Palazzo Ducale, 7 June - 15 October 1969, pag. 170, n. 77
Witt Library, The Courtauld Institute, London
Una giovane gentildonna viene qui descritta leggermente di tre quarti. È vestita con un abito ceruleo e sul braccio sinistro reca un manto color arancio (complementare). L’ampia scollatura è chiusa da un fascio di fiori, fra i quali spicca una rosa, simbolo di amore, devozione e purezza.
Questo bellissimo ritratto, eseguito a pastello su carta, è opera della celebre pittrice veneziana Rosalba Carriera e proviene ab antiquo dalla collezione della famiglia Revedin. Tale circostanza rende molto plausibile che il ritratto raffiguri una giovane donna della dinastia, nel periodo in cui questa stava assumendo rilievo nella società veneziana. I Revedin, famiglia di probabile origine ginevrina, compaiono nei documenti della Serenissima a partire dalla fine del Seicento[i]. Il primo nome in cui ci si imbatte è quello di Giovan Battista, che nei primi anni del XVIII secolo abitava in un palazzo del sestiere di Dorsoduro presso le Zattere. Suo nipote Antonio, nato nel 1708, fu colui che portò la casata alla dignità nobiliare, acquisendo – per decreto del senato del 1° marzo 1755 – il titolo di Conte per sé e per tutta la sua famiglia. A quell’epoca, come indicano le motivazioni addotte nel suddetto decreto, i Revedin erano fra gli esponenti più importanti della marina mercantile di Venezia, e la loro fortuna economica li portò qualche anno dopo a trasferirsi dalle Zattere verso l’assai più prestigioso Campo San Paternian (oggi Campo Manin), a pochi passi da San Marco. È verosimile che i meriti di questa crescita patrimoniale fossero proprio di Antonio, e che il ritratto femminile di mano di Rosalba che poi si sarebbe conservato nelle collezioni della dinastia – ritratto da datare attorno al 1740 – fosse una sorta di certificazione dell’avanzamento dello status sociale.
Rosalba Carriera aveva cominciato a dedicarsi ai ritratti a pastello nel periodo della prima maturità, quando già il suo nome era noto per le delicate miniature su avorio eseguite negli anni della formazione – miniature che decoravano tabacchiere o piccoli cofanetti di gioie –. Furono alcune immagini celebri da lei condotte a pastello negli anni 1708-1710, come il Ritratto di Pisana Mocenigo della Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda[ii] o il Ritratto di Federico IV di Danimarca oggi al Nationalhistoriske Museum di Hillerød[iii], a garantire a Rosalba un successo che si propagò velocemente in tutta Europa, dalla Spagna fino alla Russia. Dopo un lungo soggiorno a Parigi tra il 1720 e il 1721 – durante il quale venne eletta a far parte dell’Académie Royale de peinture et de sculpture e potè confrontarsi alla pari con gli artisti della corte di Versailles – e un viaggio a Vienna nel 1730, una volta tornata in patria la pittrice abbandona progressivamente i modi rocaille, che pure ne avevano decretato l’affermazione, per abbracciare una nuova poetica che nei ritratti si rivela più intima e personale.
A Rosalba, superati ormai i sessant’anni, non interessa più indugiare sugli elementi emblematici del potere e della distinzione sociale dei signori da lei descritti: nell’ultima fase della sua carriera – che si concluse prematuramente nel 1746 a causa di una malattia agli occhi, sfociata presto nella cecità – l’artista pare voler scrutare i volti e carpire i segreti dei suoi effigiati. In questa fase i soggetti sono per la maggior parte rimasti senza nome, e pure quando ne conosciamo l’identità si tratta di personaggi che chiaramente intendono essere descritti nella loro componente emotiva e psicologica, accompagnati spesso da elementi iconografici evocativi della loro indole. Non è un caso se il ritratto qui presentato, opera come detto da riferire agli ultimi anni di attività della pittrice, sia accostabile ad alcune incantevoli Allegorie realizzate da Rosalba all’inizio del quinto decennio del Settecento: basti pensare ai Quattro elementi (Aria, Acqua, Terra, Fuoco) eseguiti per il nunzio apostolico Giovan francesco Stoppani e oggi nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini a Roma[iv], o alla serie analoga richiesta a Rosalba da parte di Federico Augusto di Sassonia tra il 1744 e il 1746 (oggi alla Gemäldegalerie di Dresda)[v]. La contessa di casa Revedin dunque diventa qui una vera e propria allegoria della giovinezza e della purezza – simboleggiate del resto dalla rosa sul petto –: un’immagine che ancora oggi stupisce, come ha indicato giustamente Pietro Zampetti[vi], per la sensibilità psicologica e il candore emanati dal volto di questa giovane donna.
[i] Sui Revedin, che nel corso nel XIX secolo si spostarono da Venezia a Ferrara, andando ad abitare la villa di Via Bolognese che ancora porta il loro nome, si veda V. Spetri, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1928, VIII, pp. 522-524; si veda anche L. Rocco, Motta di Livenza e i suoi dintorni, Treviso 1897, pp. 593-594.
[ii] B. Sani, Rosalba Carriera 1673-1757. Maestra del pastello nell’Europa ancien régime, Torino 2007, pp. 72-73, n. 22.
[iv] A. Pasian, in Rosalba Carriera “prima pittrice d’Europa”, a cura di G. Pavanello, catalogo della mostra (Venezia, Galleria di Palazzo Cini, 1 settembre – 28 ottobre 2007), Venezia 2007, pp. 144-149, nn. 32-35.