Bicci Di Lorenzo

(Firenze 1368 - 1452)

Miracolo di San Giovanni Gualberto

Tempera su Tavola, 27,5 x 31 cm (10.83 x 12.20 inches)

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Bicci Di Lorenzo

(Firenze 1368 - 1452)

Miracolo di San Giovanni Gualberto

Tempera su Tavola, 27,5 x 31 cm (10.83 x 12.20 inches)

Rif: 676

Provenienza: Firenze, Santa Trinita, Cappella Boncompagni

Note:

Opera non più' disponibile

Bibliografia:

G. Kaftal, Saints in Italian art, I, Iconography of the saints in Tuscan painting, Firenze 1952, pp. 575-576, fig. 665
E. Andreatta, in L’età di Masaccio. Il primo Quattrocento a Firenze, a cura di L. Berti e A. Paolucci, catalogo della mostra (Firenze), Milano 1990, p. 251
A. Padoa Rizzo, Iconografia di san Giovanni Gualberto. la pittura in Toscana, Vallombrosa 2002, p. 77
D. Gordon, Bicci di Lorenzo's altarpiece for the Compagni family chapel in S. Trinita, Florence, in The Burlington Magazine, 2019, p. 38-39.

In un paesaggio brullo e roccioso, chiuso a destra da un poderoso massiccio, un santo benedettino dall’aspetto austero pare voler rivelare ai suoi attoniti seguaci una visione calamitosa: in questa un edificio, dall’aspetto di casa torre nobiliare, viene travolto e trascinato in una scarpata dalla piena di un fiume. L’iconografia è uno dei punti di maggior interesse di questa straordinaria tavola, non a caso studiata ed illustrata da Kaftal nel suo repertorio sulle immagini dei santi nella pittura toscana : il santo descritto è Giovanni Gualberto (Firenze, 995 ca. – Badia a Passignano, 1073), fondatore della Congregazione vallombrosana . Questi, monaco benedettino, si distinse nella sua lotta contro la simonia, male endemico, in quel periodo storico, della chiesa regolare; perseguitato per questo motivo dai vescovi di Firenze Atto e Pietro Mezzabarba si ritirò con alcuni monaci presso la foresta di Vallombrosa nella Valdarno e diede alla comunità una nuova regola, basata sul rifiuto delle ricchezze terrene da parte degli aderenti. Centro della congregazione fu sempre l’abbazia madre presso Reggello, ma la chiesa più importante della comunità fu la fondazione fiorentina di Santa Trinita (già Santa Maria dello Spasimo), documentata a partire dal 1077. Nella tavola esposta si narra del miracolo della rovina dell’abbazia di San Pietro a Moscheta. Secondo la leggenda, il santo, cui pure si doveva la prima fondazione della badia, si infuriò quando ne vide la ricchezza e valutò l’inutile spreco di denaro occorso alla costruzione dell’edificio, che oltre a tutto risultava simile ad un palazzo cittadino anziché ad un luogo di culto. Allora Giovanni, riuniti i monaci vicino a sé su un’altura, ordinò al fiume Seve di superare la montagna e di devastare l’abbazia, che venne poi ricostruita in forme più sobrie e vicine ai principi dei Vallombrosani. L’importanza del dipinto qui presentato è valutabile anche solo considerando la sua provenienza: si tratta di uno scomparto della predella del polittico realizzato da Bicci di Lorenzo, in collaborazione con Stefano d’Antonio Vanni, per l’altare della quarta cappella a sinistra della chiesa di Santa Trinita a Firenze. Il polittico venne commissionato nel 1434 dal banchiere Cante di Giovanni Compagni, uno dei personaggi più facoltosi e influenti della Repubblica Fiorentina, ed era ancora sull’altare nel 1755, quando fu descritto dallo storico Giuseppe Richa nel suo resoconto sulle chiese della città di Firenze . Il successivo smembramento portò gli scomparti maggiori, con la Vergine col Bambino in trono fra i santi Antonio Abate, Giovanni Gualberto, Giovanni Battista e Caterina d’Alessandria, nelle collezioni reali inglesi e quindi all’Abbazia di Westminster, dove ancor oggi si conservano presso l’altar maggiore. Della predella – che secondo Richa, riportava al centro l’iscrizione con la data ‘1434’ – non resta che questo frammento, collocato originariamente proprio sotto la figura di Giovanni Gualberto. Cante di Giovanni Compagni aveva inoltre commissionato a Bicci di Lorenzo l’affresco sull’arco d’entrata della cappella, dedicato anche questo alla memoria del santo vallombrosano, con la scena di Giovanni Gualberto che perdona l’assassino di suo fratello. Che la scelta del mecenate sia ricaduta su Bicci, nell’epoca forse di maggiore concentrazione di pittori a Firenze – nel 1434 in città lavoravano fra gli altri l’Angelico, Filippo Lippi, Domenico Veneziano e Paolo Uccello – non meraviglia più di tanto. Bicci di Lorenzo era da quasi trent’anni a capo di una delle botteghe più operose, inaugurata dal padre Lorenzo di Bicci (1350 – 1427) nella seconda metà del Trecento; bottega che aveva lasciato notevoli e svariate testimonianze con decorazioni ad affresco e polittici d’altare, testimoni del tentativo – prerogativa nondimeno di molti artisti fiorentini all’inizio del XV secolo – di unire alla morfologia consueta della tradizione tardogiottesca una suggestione cromatica e materica più preziosa, derivata dal gusto internazionale. È una splendida antinomia di questa tavola il rapporto tra l’iconografia che dovrebbe suggerire un’indole formale sobria, in conformità con la morale pauperistica dei vallombrosani, e il sontuoso uso dell’oro per descrivere non solo il nimbo del santo, ma addirittura le foglie degli alberi trascinati dalla corrente del fiume. Se le figure dei monaci non eccedono in grafismi, il movimento dell’acqua è invece reso con un ammirevole ritmo di segni astratti, talvolta incisi come graffi sul supporto. E la vivace caratterizzazione degli sguardi, allo stesso tempo sbigottiti e mortificati, degli astanti al miracolo, rappresenta la chiave di lettura della narrazione, delicata nella sua resa formale, ma non per questo meno evocativa ed edificante per l’osservatore.