Giovanni di Tommaso Crivelli

(attivo in Umbria, ultimo quarto del XV secolo)

Corteo Trionfale di Traiano, c. 1475

fronte di cassone nuziale istoriato, tempera, pastiglia su tavola, fondo oro e argento, 40 x 120 cm (15.75 x 47.24 inches)

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Giovanni di Tommaso Crivelli

(attivo in Umbria, ultimo quarto del XV secolo)

Corteo Trionfale di Traiano, c. 1475

fronte di cassone nuziale istoriato, tempera, pastiglia su tavola, fondo oro e argento, 40 x 120 cm (15.75 x 47.24 inches)

Rif: 748

Provenienza: Collezione privata

Questo inedito fronte di cassone nuziale contempla un soggetto assai diffuso nell’illustrazione dei temi classici riservata alla decorazione di tali oggetti destinati all’arredo domestico, in Toscana quanto nell’ambito veneto, ma risulta privo di precedenti nel contesto del Quattrocento perugino. 

Da destra verso sinistra si snoda un corteo formato da quattro figure a cavallo, alcuni soldati e altri personaggi che seguono a piedi, di cui due gentildonne. Il gentiluomo a cavallo che apre la sfilata a sinistra è, per l’eleganza del costume, quello di maggior rango: un paggio tiene infatti le redini del destriero e a lui si rivolge implorante, inginocchiata in primo piano, una donna dal capo velato. Tale dettaglio permette di collegare il soggetto ad un episodio specifico della Storia di Traiano e la vedova: quest’ultima, rimasta priva del figlio morto assassinato, arrestò bruscamente l’esercito dell’imperatore in partenza per la guerra, chiedendo a questi giustizia per la perdita subita. Le principali fonti in età medievale della leggenda – i Dialoghidi San Gregorio Magno, la Legenda aurea di Jacopo da Varazze e un passo del Purgatorio dantesco (X, vv. 73-93)– e quelle che si susseguirono contengono più di una variante del racconto, la principale tra le quali è quella secondo cui fu il figlio dello stesso Traiano ad uccidere il ragazzo. Pur in assenza di quest’ultimo inserto, che spesso compare nella visualizzazione della storia, è possibile che il giovane bellimbusto che chiude il corteo a destra, affiancato da un cane saltellante, alluda appunto al figlio dell’imperatore. 

Nelle raffigurazioni canoniche la “vedovella” (Dante) è quasi sempre rappresentata velata, come nel nostro cassone, e con abiti neri che rinviano alla sua condizione, ma nel cassone qui presentato il colore scuro è riservato alle bardature dei cavalli e in generale alla loro stampigliatura ‘araldica’ (resa attraverso le lamine d’argento), nonché alle armi dei soldati e alle calze del paggio all’estrema sinistra, sicché tale volontà di differenziazione ha coinvolto l’immagine della donna, rivestita semplicemente d’oro come tutte altre figure. Il gesto di magnanimità con cui il personaggio a cavallo risponde alle suppliche di quest’ultima e la presenza intorno a loro di alcuni armigeri confermano come si tratti della storia di Traiano, che l’artista narra con una certa libertà, trasponendo l’episodio antico in un’atmosfera da parata cortese, facendo seguire alla testa del corteo un gruppo di accoliti che paiono accessori (uno al centro regge una coppa, seguito da una dama con un copricapo ‘a sella’). La parte destra del cofano non può costituire una vicenda distinta, perché nei cassoni del pittore cui questo va riferito – Giovanni di Tommaso Crivelli, aliasil Maestro dell’Annunciazione Campana – le fasi della storia sono sempre divise fra loro da cornici, di contro alla narrazione continua qui sciorinata. Il fatto che il giovane all’estrema destra si rivolga ad un punto fuori dalla figurazione potrebbe suggerire che il racconto continuasse su questo lato. Ciò rimane ipotetico e, ad ogni modo, è difficile che il pannello fosse considerevolmente più esteso in orizzontale. Poiché la confezione dei cassoni era approntata generalmente in occasione delle nozze, fondandosi sull’abbinamento di due oggetti, è comunque probabile che la storia proseguisse in un pezzo al momento ignoto, che avrà esposto il suo lieto fine con l’assegnazione della dote alla vedova da parte di Traiano, che in cambio del figlio morto le concesse il proprio. 

Con le parole di Salvatore Settis possiamo ricordare che se il tema della Storia di Traiano ricorre così di frequente in cassoni nuziali, certo sarà per la popolarità della storia e per la sua ampia diffusione, oltre che in testi e immagini; ma probabilmente anche perché la vicenda narrata si prestava bene a illustrare virtù topiche e dell’uomo e della donna, buone a richiamarsi al momento della costituzione, col matrimonio, di una nuova famiglia. E poco cambia, a tal proposito, se i cassoni, nell’età e nel luogo in cui questo fu prodotto, fossero commissionati dal marito o dalla famiglia della moglie; poiché identici sono (o almeno possono essere) i valori rappresentati e trasmessi per volontà dello sposo, o del padre della sposa. Nella figura di Traiano, la giustizia e (seguendo Dante) l’“umilitade”, ma anche un totale controllo della famiglia e dei figli, in equilibrio tra l’esercizio dell’autorità e la disposizione al perdono; in quella della vedova, la predisposizione della donna alla maternità. 

La scena si svolge in primo piano, di fronte ad un proscenio architettonico, le cui porzioni superiori (al pari di altre sul margine inferiore della scena) sono state in parte restaurate in seguito ai danni subiti dal supporto ligneo, provocati dal forte assottigliamento cui questo è stato sottoposto in passato. 

Il cassone, come preluso innanzi, spetta a Giovanni di Tommaso Crivelli -o Maestro dell’Annunciazione Campana-, protagonista nella produzione di questo genere di manufatti nella Perugia del secondo e terzo quarto del Quattrocento. La mostra L’Autunno del Medioevo in Umbria svoltasi a Perugia ha chiarito i termini della sua copiosa attività nel settore, giungendo alla definizione di una personalità che si differenzia da colui che fino a tempi recenti veniva ritenuto responsabile di molti fra i suoi risultati, Mariano d’Antonio, e che prepara l’avvio del maggior esponente del primo Rinascimento locale, Benedetto Bonfigli, di cui il maestro a sua volta ricalcò i passi. A fianco di cassoni, integri o smembrati, ospitati in minima parte in Umbria (tre si conservano presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia), l’anonimo pittore licenziò diversi raffinati dipinti di piccolo formato. L’opera eponimacui si deve il suo battesimo è l’Annunciazione già nella collezione Campana, centro di un trittichetto, di recente ricostituito, conservato al Musée du Petit Palais di Avignone, un’opera sospesa tra memorie della cultura tardogotica perugina e primi aggiornamenti sul linguaggio del Bonfigli. È possibile, come proposto inizialmente da Andrea De Marchi, che il maestro possa riconoscersi in Giovanni di Tommasino Crivelli, documentato a Perugia dal 1434 sino alla morte occorsa nel 1481. Questi fu in costanti rapporti con la Cattedrale di Perugia, ove si conserva un affresco raffigurante San Bernardino riferibile al Maestro dell’Annunciazione Campana, ma anche, negli anni quaranta, con il giovane Bonfigli, verso il quale l’anonimo artista dimostra un denso rapporto di scambi figurativi. 

Come visibile peraltro nell’esemplare qui discusso, nei suoi cofani il Maestro dell’Annunciazione Campana modella col gesso a rilievo tutti gli elementi della figurazione, velandoli di stesure dorate (e d’argento) variamente operate e lasciando alla pittura a tempera la sola definizione dei volti, segnati da connotati che tendono ad essere agevolmente riconoscibili. Le sagome in rilievo dai profili molli e stondati trovano un corrispettivo puntuale in quelle visibili nella Novella dell’aquila d’oro, illustrata nel fronte della Galleria Nazionale dell’Umbria. Le gentildonne al centro ripropongono i tratti somatici delle Virtù incluse alle estremità del cassone dello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte o di Lucrezia nel cofano del museo di Varsavia; nel volto del palafreniere di sinistra ritorna a distanza di anni la fisionomia dell’angelo nell’Annunciazione del Musée Jacquemart- André di Parigi, una tra le opere più antiche che conosciamo del pittore. Il volto di Traiano sembra riproposto negli accoliti di sinistra del Corteo nuziale della Galleria Botticelli a Firenze, unico tra i cassoni licenziati dall’anonimo cui possiamo allegare una data di riferimento, il 1452. Le tipologie dei cavalli – dalla bocca spalancata, posti per lo più di profilo e ricoperti di gualdrappe – sono replicate frequentemente dal maestro nelle scene a sfondo guerresco, nei trionfi o negli araldi che talvolta figurano alle estremità dei fronti di cassoni. Nella bottega del artista doveva essere invalso l’uso di stampi e matrici in gesso relativi a questo tipo di immagini, da utilizzare in maniera seriale nella decorazione di simili manufatti. 

A fianco dei rilievi morfologici, è il tipo di lavorazione della superficie dorata a condurre al nome del probabile Crivelli: gli abiti di tutti i personaggi sono percorsi da una fitta, uniforme trama di bolli che conferiscono all’oro una consistenza brulicante, seguendo un andamento per lo più verticale, come si osserva nei sopra citati cassoni di Varsavia e Francoforte, nonché in quello, di nuovo con Storie di Lucrezia, della Galleria perugina. 

Possiamo altresì collegare il nostro esemplare ad una fase specifica della produzione sinora raccolta dagli studi. Il cofano perugino testé menzionato, collocato verso il 1470, non presenta più, a latere della storia narrata sul fronte, una coppia di Virtù (o, altrimenti, di scudieri a cavallo) posti entro arcate polilobate, come era il caso ad esempio dei pezzi di Varsavia e Francoforte, ma si chiude con le stesse paraste simili a palmizi, sboccianti in capitelli pseudo-corinzi, che distinguono la nostra Storia di Traiano. L’abbandono di tipologie di gusto tardogotico a favore di novità di questo genere, ispirate al repertorio ornamentale di Benozzo Gozzoli e del Bonfigli, è il segno di un’evoluzione in chiave rinascimentale delle soluzioni messe a punto dal maestro nell’impaginazione dei suoi cassoni. Tale aggiornamento si coglie altresì nel ritmo più pausato imposto alla narrazione, ovvero nella volontà di costipare meno le scene e di attenuare sensibilmente quel senso di horror vacui che caratterizza la produzione più antica. Esso diviene ancor più manifesto nel lessico architettonico adottato negli edifici sullo sfondo, distinti da ampie arcate a tutto sesto, separate da paraste e capitelli, e da sequenze di finestre quadrangolari su cui svettano piccoli timpani di ispirazione classicheggiante. Questi caseggiati sono meticolosamente puntinati nei profili dei loro singoli elementi architettonici, dimostrando in ciò un’assoluta fedeltà con le procedure esecutive delle opere anteriori (si veda, a tal proposito, la cittadella che fa da sfondo alle Storie di Lucrezia nel cofano di Varsavia; fig. 20), ma il gusto è ormai in linea con quello visibile a Perugia nei primi anni settanta e reso con ben altro rigore sul piano filologico e antiquario da Pietro Perugino e compagni nelle Storie di San Bernardino del 1473 (in particolare nell’episodio della Restituzione della vista al cieco;. 

Giovanni di Tommasino Crivelli, alias il Maestro dell’Annunciazione Campana, era ormai anziano quando la cultura figurativa perugina attuò questa radicale conversione: come denunciano il suo estro decorativo, l’ossessiva manipolazione della lamina dorata alla ricerca di tenui barbagli ed effetti baluginanti, il gusto favolistico con cui trasfigura le leggende delle eroine, i trionfi e le storie antiche, l’atmosfera gentile e un po’ sognante dei suoi cortei nuziali, tutti elementi che costituiscono il fascino profondo della sua arte, egli restò sempre tra i più convinti esponenti del crepuscolo della cultura tardogotica a Perugia e strenuo assertore di quella civiltà dell’oro profusa nella pittura dell’ultimo Medioevo.