Maestro del 1310

(Attivo a Pistoia 1300 - c. 1330)

Madonna col Bambino al verso Corde Intrecciate c 1303

tempera su tavola di pioppo, fondo oro, 40,2 x 25,8 cm (15.83 x 10.16 inches)

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Maestro del 1310

(Attivo a Pistoia 1300 - c. 1330)

Madonna col Bambino al verso Corde Intrecciate c 1303

tempera su tavola di pioppo, fondo oro, 40,2 x 25,8 cm (15.83 x 10.16 inches)

Rif: 805

Provenienza: Collezione privata, Perpignan

Bibliografia:

A. De Marchi, Il “Maestro del 1310” e la fronda anti-giottesca: intorno ad un “Crocifisso” murale, in “Prospettiva”, 1986, 46, pp. 50-56 (pp. 54-55, fig. 9)
E. Neri Lusanna, Le arti figurative a Pistoia, in Storia di Pistoia, II, L’età del libero Comune. Dall’inizio del XII alla metà del XIV secolo, a cura di G. Cherubini, Firenze 1998, pp. 275-316 (p. 303, nota 75)
A.Volpe, Una aggiunta al Maestro del 1310, in Scritti di storia dell’arte in onore di Jürgen Winkelmann, a cura di S. Béguin, Napoli 1999, pp. 373-379
A.Tartuferi - E. N. Lusanna - A. Labriola, Medioevo a Pistoia. Crocevia di artisti fra Romanico e Gotico, catalogo della mostra (Pistoia Musei Civici, 27 novembre 2021 - 8 maggio 2022), pag. 228-229, no. 33

Fototeca Zeri
n. 6932

Descrizione:

Fino ad oggi questa tavoletta era nota soltanto attraverso la segnalazione di Andrea De Marchi[1], mediante una vecchia foto di dimensioni molto ridotte, la stessa della scheda n. 6932 della Fototeca Zeri, con l’indiscutibile assegnazione al Maestro del 1310, la maggiore personalità artistica – che tutto lascia credere autoctona – del contesto pistoiese tra l’ultimo scorcio del Duecento e il 1330 circa[2]. A tale segnalazione ha fatto seguito per quanto mi consta soltanto un’ulteriore menzione in nota di Enrica Neri Lusanna[3] e un’altra, assai meno attendibile, di Alessandro Volpe[4], che in base alla fotina pubblicata da De Marchi ritenne di scorgere nell’opera il Maestro del 1336 delineato da Donati[5]: ipotesi, quest’ultima, che opportunamente non ha trovato alcun seguito. Conservavo nella cartella dell’anonimo la vecchia immagine del- l’opera e da tempo avevo maturato la convinzione che fosse il segno più antico fino ad oggi noto dell’attività di questo artista singolare. Pertanto, assai forte è stato l’interesse suscitato in me per l’improvvisa ricomparsa del dipinto verso la fine del 2020, quando il lavoro per la prima grande mostra dedicata al Medioevo a Pistoia era ormai ben avviato. Dalle vecchie foto la conservazione dell’opera era stata considerata esageratamente problematica[6], ma in realtà il dipinto conserva in buona parte i suoi squisiti caratteri disegnativi e cromatici, riportati adesso in luce in maniera sorprendente dal riuscitissimo intervento di carattere precipuamente conservativo[7]. I volti e gli incarnati non presentano manomissioni significative, che riguardano invece le aureole dei sacri personaggi, rinnovate presumibilmente tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento con l’aggiunta di un nuovo strato a base di gesso e colla. La finezza della nuova decorazione che presenta un bel motivo vegetale attesta il rispetto devozionale che ancora era riservato al prezioso manufatto, che nella medesima occasione fu rinnovato anche nella parte tergale, arricchita da una bella decorazione fatta di pezzi di corda intrecciati con gli estremi sfilacciati.

Il dipinto, costituito da un’unica tavoletta di pioppo con fibra verticale, era la parte centrale di un raffinato tabernacolo portatile a sportelli, come indicano con chiarezza le sedi delle quattro cerniere sui lati e, inoltre, la presenza di una gangherella superstite in basso a destra.

Questa Madonna, che appare dolce e risoluta nello stesso tempo, difficile da dimenticare per quegli occhi azzurri di rara intensità e potenza, evoca subito al conoscitore lo stesso timbro stilistico arcaizzante tipico di molte immagini dipinte, soprattutto nell’Italia centrale, tra l’ultimo scorcio del Duecento e i primissimi anni del Trecento. La mano sinistra della Vergine, con la caratteristica forma a tenaglia, trova confronti stringenti con altri artisti che operano a cavallo del crinale fatidico dell’anno 1300, quali il Maestro di Varlungo (dossali di New Haven e già Roma, collezione Fiammingo[8]) oppure la Madonna col Bambino di ignota ubicazione proveniente in origine, con ogni probabilità, dalla chiesa di Sant’Andrea a Cerreto Maggio (Firenze), riferita da Boskovits al Maestro del Crocifisso di San Quirico[9].

Nel dipinto si colgono subito pezzi di bravura pittorica non comuni, quale il gesto relativamente raro del Bambino – ma coltivato in maniera speciale dal nostra autore, che lo replica anche nella pala eponima – di attirare a sé con decisione il finissimo velo trasparente della Madre per meglio avvolgerlo sulle spalle, che lascia intravedere comunque molto bene la decorazione dello scollo della sua veste.

Si tratta di un motivo ripreso da Duccio di Buoninsegna, presente nelle Madonne della Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia e del trittico della National Gallery a Londra e nella Madonna ex-Stoclet oggi al Metropolitan Museum di New York. Ed è significativo che persino per questo motivo e per la sua traduzione pittorica un rimando particolarmente calzante – con il velo trasparente – lo si possa individuare nell’esemplare di un duccesco della prima ora che analogamente al Maestro del 1310 fu operoso a partire dall’ultimo decennio del Duecento. Vale a dire nella Madonna col Bambino del Maestro di Città di Castello al centro del polittico della Pinacoteca Nazionale di Siena con I santi Agostino, Paolo, Pietro e Antonio abate, proveniente dall’eremo agostiniano di Montespecchio e databile verosimilmente entro il 1307, anno in cui la chiesa fu riconsacrata[10]: una data al principio del Trecento che secondo noi collima quindi con quella della nostra Madonna.

Tuttavia, l’unica datazione proposta in precedenza da De Marchi è quella intorno al 1315, intermedia cioè, fra la pala eponima del 1310 di Avignone, in origine forse nella chiesa di San Francesco a Pistoia, e il dossale-pentittico del Museo Civico della città toscana, proveniente dalla chiesa dedicata a Santa Maria Maddalena del Convento degli Umiliati, databile intorno al 1320[11].

Ma la nostra intensa Madonna si discosta per l’impaginazione più solida e soprattutto per gli accenti espressivi più controllati, rispetto a quelli riscontrabili nella Madonna di Avignone e nel dossale-pentittico del museo pistoiese – che hanno suggerito caratterizzazioni verbali forse un po’ troppo spinte – sebbene perfino in essa si sia ritenuto di poter sottolineare «occhi gonfi e stralunati» e «il gesto pugnace del Bambino che stringe a sé il velo»[12]. La forte sottolineatura chiaroscurale sul collo della Vergine è memore di certe immagini mariane dell’ultimo quarto del Duecento, mentre la severa compattezza ‘giottesca’ delle forme e dell’espressività ben si confronta, ad esempio, con la Madonna col Bambino di Lippo di Benivieni di collezione privata, anch’essa probabile centro di un tabernacolo, datata da Carlo Volpe giusto agli albori del Trecento[13].

La tavola ora riapparsa e tornata disponibile anche per gli studi, vale secondo noi a certificare l’alto livello della fase più antica dell’attività sin qui nota dell’ignoto artista e, inoltre, consente di precisare meglio i limiti della sua operatività. Quest’ultima, sulla base di un’attenta ricognizione stilistico-filologica, dovette concludersi con l’eptittico della Madonna col Bambino in trono e sei santi ad affresco, staccato dalla parete sinistra della chiesa di San Domenico a Pistoia, benissimo riconosciuto al pittore dal Donati[14], databile nel 1325-30, e con la raffinata e goticissima tavola raffigurante Episodi della leggenda di Sant’Irene, da collocare intorno al 1330[15]. Dopo quest’ultimo vertice qualitativo, risulta piuttosto arduo immaginare che l’attività del nostro autore possa prolungarsi negli anni Quaranta e fin verso la metà del secolo con opere quali il pentittico della Pinacoteca Museo della Collegiata di Empoli o l’altro del Museo di Arte Sacra di Popiglio[16], nonché con il frammento superstite di una Madonna col Bambino individuato nel Conservatorio della SS. Annunziata di Empoli, come proposto ultimamente[17]. Se la denominazione di Maestro del 1336 proposta a suo tempo da Donati per le prime due opere appare oggi da rivedere, la validità dell’accostamento stilistico resta inalterata e, anzi, confermata ulteriormente dalle nuove opere. Queste sono da riferire per l’appunto a un ulteriore artista attivo fra Pistoia e Empoli, che partendo dalle premesse fondamentali poste dal Maestro del 1310, offre un con- tributo decisivo per consolidare la fisionomia di una “scuola pi- stoiese” nella prima metà del Trecento, facendo tesoro anche degli apporti di cultura masiana introdotti in città soprattutto grazie all’attività di Bonaccorso di Cino.

 

 [1] A. De Marchi, Il “Maestro del 1310” e la fronda anti-giottesca: intorno ad un “Crocifisso” murale, in “Prospettiva”, 1986, 46, pp. 50-56 (pp. 54-55, fig. 9).
[2] Il primo ad accorgersi dell’appartenenza al contesto pistoiese della grande pala eponima raffigurante la Madonna col Bambino in trono fra sei angeli e due donatori genuflessi, oggi al Musée du Petit Palais di Avignone (per cui, cfr. M. Laclotte, E. Moench, Peinture italienne. Musée du Petit Palais Avignon, Paris 2005, pp. 127-128, n. 135) fu Edward Garrison, Italian Romanesque Panel Painting. An Illustrated Index, Florence 1949, p. 78, quando l’opera si trovava al Museo di Angers. Un’iscrizione alla base dell’opera reca la data del febbraio 1310 e attesta che essa fu commissionata da un certo Filippo di Pace e dalla moglie Iacoba.
La bibliografia sul Maestro del 1310 è oggi piuttosto vasta, dopo lo studio inaugurale di Pier Paolo Donati, Per la pittura pistoiese del Trecento, I – Il Maestro del 1310, in “Paragone”, XXV, 1974, 295, pp. 3-26. Per gli interventi che considerano la sua attività in maniera più generale, si vedano A. Bacchi, Pittura del Duecento e del Trecento nel Pistoiese, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, I, pp. 317-320; De Marchi cit., 1986, pp. 50-56; G. Freuler, Maestro del 1310, in “Manifestatori delle cose miracolose”. Arte italiana del ‘300 e del ‘400 da collezioni in Svizzera e nel Liechtenstein, catalogo della mostra (Lugano-Castagnola, Fondazione Thyssen-Bornemisza, 7/4 – 30/6/1991), Einsiedeln 1991, pp. 184-186; B. Cassidy, A Byzantine Saint in Tuscany: A proposal for the Solution of a Trecento Enigma, in “Arte Cristiana”, LXXXIII, 1995, 769, pp. 243-256; E. Neri Lusanna, Le arti figurative a Pistoia, in Storia di Pistoia, II, L’età del libero Comune. Dall’inizio del XII alla metà del XIV secolo, a cura di G. Cherubini, Firenze 1998, pp. 275-316; A. Volpe, Una aggiunta al Maestro del 1310, in Scritti di storia dell’arte in onore di Jürgen Winkelmann, a cura di S. Béguin, Napoli 1999, pp. 373-379; A. De Marchi, Il Maestro del 1310 riconsiderato: un raro frammento di un pittore pistoiese a Empoli, in Empoli, novecento anni. Nascita e formazione di un grande castello medievale 1119-2019, a cura di F. Salvestrini, Firenze 2020, pp. 211-218.
[3] Neri Lusanna cit., 1998, p. 303, nota 75.
[4] Volpe cit., 1999, pp. 373-379.
[5] P. P. Donati, Per la pittura pistoiese del Trecento II – Il Maestro del 1336, in “Paragone”, XXVII, 1976, 321, pp. 3-15.
[6] De Marchi cit., 1986, p. 54.
[7] L’intervento di restauro è stato eseguito da Loredana Gallo, supportata dalle indagini diagnostiche non invasive condotte da Iacopo Osticioli dell’IFAC-CNR di Sesto Fiorentino e dall’indagine radiografica di Teobaldo Pasquali.
[8] A. Tartuferi, La pittura a Firenze nel Duecento, Firenze 1990, figg. 232-233
[9] M. Boskovits, The painters of the miniaturist tendency, “Corpus of Florentine Painting”, III, IX, Florence 1984, p. 161, pl. XXXV.
[10] 10 A. Bagnoli, “Maestro di Città di Castello”, in Duccio. Alle origini della pittura senese, catalogo della mostra (Siena, Santa Maria della Scala – Museo dell’Opera del Duomo, 4/10/2003 – 11/1/2004), Cinisello Balsamo, Milano 2003, pp. 296-301, n. 42.
[11] Per il dossale del Museo Civico di Pistoia, si veda M. Cordaro, in Museo Civico di Pistoia. Catalogo delle collezioni, a cura di M. C. Mazzi, Firenze 1982, pp. 97-98, con bibl. prec.; Bacchi cit., 1986, p. 319; De Marchi cit., 1986, pp. 52, 53- 54; Neri Lusanna cit., 1998, p. 303; L. Agnoletti, Il Miracolo di San Biagio: restituzione storico-critica di un affresco nella chiesa di San Michele a Serravalle Pistoiese, in “Arte Cristiana”, CVIII, 2020, 918, pp. 202-214 (pp. 205-206); De Marchi cit., 2020, pp. 214-215.
[12] De Marchi cit., 1986, p. 54.
[13] C. Volpe, Frammenti di Lippo di Benivieni, in “Paragone”, XXIII, 1972, 267, pp. 3-13 (pp. 9-11); Boskovits cit., 1984, pp. 29, 169, che la ritiene databile sullo scorcio del Duecento.
[14] Donati cit., 1974, p. 20 e tavv. 24-28, con confronti fotografici che ancora ai giorni nostri appaiono del tutto probanti. Respinge invece l’assegnazione al Maestro del 1310 A. De Marchi, Come erano le chiese di San Domenico e San Francesco nel Trecento? Alcuni spunti per ricostruire il rapporto fra spazi ed immagini, sulla base dei frammenti superstiti e delle fonti, in Il Museo e la Città, Vicende artistiche pistoiesi del Trecento, Pistoia 2012, pp. 13-51 (pp. 35-37).
[15] Fino al 1875 la tavola, un dossale o antependio di cm 91 x 127, si trovava in collezione Corsi a Firenze. La restituzione al Maestro del 1310 è del Donati (cit., 1974, p. 23); cfr. inoltre Freuler cit., 1991, pp. 184-186; De Marchi cit., 1986, p. 53. L’identificazione del soggetto, assai raro, con Storie di sant’Irene spetta a Brendan Cassidy (cit., 1995, pp. 243-256).
[16] Per il polittico della Pinacoteca Museo della Collegiata di Empoli, cfr. A. Paolucci, Il Museo della Collegiata di S. Andrea in Empoli, Firenze 1985, pp. 34-37; per il polittico di Popiglio, cfr. U. Feraci, I polittici trecenteschi, in Popiglio. Museo d’arte sacra, a cura di P. Peri, Pistoia 2010, pp. 68, 70-71.
[17] De Marchi cit., 2020, pp. 211-218.