Niccolo' di Tommaso

(Attivo a Firenze, in Toscana e in Campania, 1350 c. - 1376)

Giudizio Finale, 1360-1365

tempera su tavola, fondo oro, 87 x 54 cm (34.25 x 21.26 inches)

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Niccolo' di Tommaso

(Attivo a Firenze, in Toscana e in Campania, 1350 c. - 1376)

Giudizio Finale, 1360-1365

tempera su tavola, fondo oro, 87 x 54 cm (34.25 x 21.26 inches)

Rif: 809

Provenienza: Collezione privata

Bibliografia:

R. Longhi, Vitale da Bologna e i suoi affreschi nel Camposanto di Pisa, Sitzung del 5 dicembre 1931, in Berichte über die Sitzungen des Institutes,«Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», IV, 2-3, 1933, pp. 135-137
R. Offner-M. Boskovits, Master of San Martino alla Palma; Assistant of Daddi; Master of the Fabriano Altarpiece, “Corpus of Florentine Painting”, Sec. III, Vol. V,New York 1947; new edition by M.Boskovits, assisted by A. Labriola and M. Ingendaay Rodio, Firenze 2001
R. Offner, A Ray of Light on Giovanni del Biondo and Niccolò di Tommaso, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», VII, 1956, pp. 173-192
U. Schlegel, Beiträge zur Trecentomalerei, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», XI, 2-3, 1964, pp. 63-70
M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento 1370-1400, Firenze 1975
R. Fremantle, Florentine Gothic Painters. 
From Giotto to Masaccio, Londra 1975
M.T. Lazzarini, Apparati decorativi e collezionismo nelle residenze de Larderel ; Note all’inventario e Inventario della “Galleria e oggetti di Belle Arti”, in Frattarelli Fischer L. – Lazzarini M.T., Palazzo de Larderel a Livorno, Milano 1992, pp. 135-186 e 200-206
A. Tartuferi, Per la pittura fiorentina di secondo Trecento: Niccolò di Tommaso e il Maestro di Barberino, «Arte Cristiana»,LXXXI, N. 758, 1993, pp. 337-346
J. Tripps,Tendencies of Gothic in Florence: Andrea Bonaiuti, “Corpus of Florentine Painting”, Sec.IV,Vol. VII (part I), Florence 1996
V. Lucherini, Niccolò di Tommaso, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 78, Roma 2013
A.Tartuferi - E. N. Lusanna - A. Labriola, Medioevo a Pistoia. Crocevia di artisti fra Romanico e Gotico, catalogo della mostra, Pistoia Musei Civici, 27 novembre 2021 - 8 maggio 2022, pagg. 268-269, n. 51

Questo dipinto in condizioni di conservazione straordinariamente buone rappresenta un’importante novità, poiché sebbene noto da lungo tempo agli studi, è reso visibile per la prima volta in questa occasione. La tavola è stata oggetto di un accorto intervento di restauro da parte di Loredana Gallo, nel corso del quale sono state riscontrate interessanti particolarità tecniche. Il supporto originale, di fibratura verticale, è composto da tre tavole, di cui quella centrale è larga tre volte rispetto alle due laterali; ma soprattutto è da notare il fatto che la tavola principale è in legno di pioppo, mentre le due assi laterali sono di una conifera. Sulla fronte, nella parte superiore dei lati, si notano distintamente le tracce dei capitelli delle colonnine che appartenevano alla cornice originale, ricoperte dalla nuova doratura effettuata nel corso del rifacimento della stessa. Tale intervento appare comunque effettuato in epoca piuttosto antica, come testimoniano le due figure dell’Annunciazione all’interno dei tondi esalobati ai due estremi superiori.  L’angelo e la Vergine annunziata risultano in maniera inequivocabile di altra mano sul piano dello stile, e di qualità sensibilmente più scadente rispetto alla figurazione principale, anche per la decorazione punzonata delle aureole e la diversità dei pigmenti impiegati, nonché di datazione posteriore rispetto alla figurazione principale, collocabili indicativamente a nostro modo di vedere tra l’ultimo scorcio del Trecento e i primi lustri del Quattrocento. L’intervento tutto sommato “rispettoso” relativo all’incorniciatura ci priva della possibilità di verificare l’esistenza di eventuali tracce di cardini laterali, nell’ipotesi - certamente plausibile - che la tavola fosse in origine l’elemento principale di un tabernacolo a sportelli. Nondimeno, la congettura[1] che il dipinto fosse in origine la parte centrale di un altare portatile che avrebbe incluso la Madonna col Bambino del Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona (inv. 1728) non è suffragata da alcun elemento, ma frutto probabilmente di un mero equivoco interpretativo della lista delle opere di Niccolò di Tommaso fornita a suo tempo da Richard Offner[2]. Il riadattamento della cornice lascia intravedere anche un aggiornamento conservativo e/o di gusto a distanza di qualche decennio dalla sua creazione, che sembrerebbe presupporre per l’opera una probabile devozione pubblica prolungata nel tempo. La squisita raffinatezza della stesura pittorica e la preziosità dei materiali impiegati, l’oro, l’argento, il lapislazzuli, il vermiglione e le lacche, per gli effetti traslucidi, unitamente al trattamento non meno sontuoso del fondo dorato, nelle punzonature, nelle copiose graniture e nella fittissima raggiera che promana dalla Vergine e da Cristo, indicano inequivocabilmente una commissione di grande prestigio.  

Il dipinto figura con l’attribuzione a “Orgagna sic. Orcagna” e un valore di stima di 1333 lire toscane nell’inventario del 1858 redatto alla morte del Conte Francesco de Larderel, esposto nella Sala delle Colonne all’interno dell’imponente palazzo di famiglia nel centro di Livorno[3]. La tavola fu menzionata per la prima volta con il probabile riferimento a Niccolò di Tommaso da Roberto Longhi, nel corso di una Sitzung del 5 dicembre 1931 presso l’Istituto Tedesco di Storia dell’Arte a Firenze, con la sottolineatura del rapporto iconografico con il Giudizio Finale negli affreschi del Camposanto di Pisa di Bonamico Buffalmacco, allora riferiti a Vitale da Bologna. L’indicazione fu ripresa da Offner[4], che identificò la tavola con quella riferita all’Orcagna nella collezione de Larderel. Il dipinto rimase tuttavia inedito fino alla pubblicazione da parte di Ursula Schlegel[5], che dal punto di vista dell’iconografia ne ribadì la raffigurazione apocalittica combinata, come per l’appunto nell’affresco di Buffalmacco a Pisa, con la visione di san Giovanni a Patmos. 

Si tratta senza alcun dubbio di una delle opere su tavola più belle e importanti fra quelle del pittore fiorentino giunte fino a noi, il cui capolavoro nel campo della pittura ad affresco è costituito dal vasto ciclo della ex-chiesa del Tau a Pistoia[6], ultimato verosimilmente entro il 1372. Forse egli operò in questa città già dal 1360[7] e più stabilmente almeno dal 1370, in San Giovanni Fuorcivitas per una tavola andata perduta - cui sarebbe appartenuto il pannello con Santi in adorazione un tempo in collezione Albrighi a Firenze[8], riferito però più plausibilmente al periodo estremo dell’artista[9] -, dipingendo inoltre alcuni affreschi all’interno della celebre cappella di San Jacopo in cattedrale, cui appartengono i frammenti in collezione Baldi Papini a Quarrata[10]. Al termine di queste imprese il pittore si recò a Napoli, chiamatovi dallo stesso fra Giovanni Guidotti, che gli aveva commissionato gli affreschi del Tau e il trittico firmato e datato 1371 per la chiesa di Sant’Antonio abate a Foria, oggi alla Pinacoteca di Capodimonte, che fu con ogni verosimiglianza inviato da Firenze. 

E quasi certamente si deve proprio al Guidotti stesso la sua partenza per Napoli nel 1373, dove eseguì vari affreschi e tavole[11], provata anche dal fatto che un ultimo pagamento registrato in quell’anno per la tavola di San Giovanni Fuorcivitas fosse saldato a un suo rappresentante, tal “Jachopo Ciani [sic]”, che sarebbe allettante poter identificare con Jacopo di Cione[12], a ulteriore riprova del rapporto fondamentale del pittore con gli Orcagna. L’esecuzione di questo dipinto di sfolgorante felicità pittorica pare da riportare tuttavia entro la metà degli anni sessanta, con un evidente e ancor vivo ricordo della fase formativa del pittore, sotto l’egida fortissima di Nardo di Cione, con un rinvio palese ai grandiosi affreschi di analogo soggetto della cappella Strozzi in Santa Maria Novella a Firenze, cui egli dovette partecipare come aiuto secondo quanto ammesso generalmente, sebbene sia stato giustamente osservato di recente come sia tutt’altro che facile individuarne in maniera definita l’intervento[13].


[1] V. Lucherini, ad vocem Niccolò di Tommaso, in Dizionario biografico degli italiani, 78, Roma 2013, p. 434-437.
[2] R. Offner, A Ray of Light on Giovanni del Biondo and Niccolò di Tommaso, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, VII, 1953/1956, 3-4, pp. 173-192.
[3] M. T. Lazzarini, Apparati decorativi e collezionismo nelle residenze de Larderel. Note all’inventario e Inventario della “Galleria e oggetti di Belle Arti”, in L. Frattarelli Fischer, M. T. Lazzarini, Palazzo de Larderel a Livorno, Milano 1992, pp. 135-186 (p. 165) e 200-206 (pp. 200, 205).
[4] R. Offner, Master of San Martino alla Palma, Assistant of Daddi, Master of the Fabriano altarpiece, “A critical and historical corpus of Florentine painting”, III, V, New York 1947, ed. Florence 2001. Id cit., 1953/1956, p. 190.
[5] U. Schlegel, Beiträge zur Trecentomalerei, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, XI, 1964, 2-3, pp. 63-70.
[6] Cfr. L. Gai, Nuove proposte e nuovi documenti sui maestri che hanno affrescato la Cappella del Tau a Pistoia, in “Bullettino storico pistoiese”, V, 1970, pp. 75-94; E. Carli, Gli affreschi del Tau a Pistoia, Firenze 1977; U. Feraci, L. Fenelli, Gli affreschi di Niccolò di Tommaso nella chiesa del Tau. Una rilettura iconografica, in Il museo e la città. Vicende artistiche pistoiesi del Trecento, Pistoia 2012, pp. 81-119.
[7] M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento 1370-1400, Firenze 1975, tav. 33.
[8] A. Ladis, A high altarpiece for San Giovanni Fuorcivitas in Pistoia and hypotheses about Niccolò di Tommaso, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, XXXIII, 1989, 1, pp. 3-16.
[9] E. S. Skaug, St Bridget’s vision of the Nativity and Niccolò di Tommaso’s late period, in “Arte cristiana”, LXXXIX, 2001, 804, pp. 195-209 (pp. 203-204).
[10] Si veda Carli cit., 1977, pp. 8-11; U. Feraci, Precisazioni su Bonaccorso di Cino e sulla pittura toscana di metà Trecento, in “Arte cristiana”, XCIV, 2006, 833, pp. 89-104 (p. 102, nota 51).
[11] Cfr. A. Tartuferi, Appunti tardogotici fiorentini: Niccolò di Tommaso, il Maestro di Barberino e Lorenzo di Bicci, in “Paragone”, XXXVI, 1985, 425, pp. 3-16; Id., Per la pittura fiorentina di secondo Trecento: Niccolò di Tommaso e il Maestro di Barberino, in “Arte cristiana”, LXXXI, 1993, 758, pp. 337-346; P. Leone De Castris, ad vocem Niccolò di Tommaso, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, VIII, Roma 1997, pp. 674-675.
[12] Skaug cit., 2001, p. 206, nota 12.
[13] G. Ravalli, L’egemonia degli Orcagna e un secolo di pittura a Santa Maria Novella, in Santa Maria Novella. La basilica e il convento, I, Dalla fondazione al Tardogotico, a cura di A. De Marchi, Firenze 2015, pp. 157-245 (p. 181).