Giovanni Migliara

(Alessandria 1785 - 1837 Milano)

Venezia, Piazza San Marco durante un Temporale, c. 1837

olio su carta intelata, 44 x 64 cm (17.32 x 25.20 inches)

  • Riferimento: 825
  • Provenienza: Lugano, collezione privata

Piazza San Marco è descritta da un punto di vista che si colloca a poca distanza dalla facciata della basilica, in prossimità dell’ultimo arco sul lato sinistro. Il taglio prospettico in diagonale dilata la fuga della Piazzetta verso il Molo, con un’impressione di profondità che tradisce il fine scenografico di questa inquadratura.
Il dipinto in esame, finito solo nella parte superiore e negli edifici dal campanile in avanti verso la Piazzetta, è assegnabile con certezza al pittore di primo Ottocento Giovanni Migliara[1]. Questi, nato ad Alessandria ma migrato fin dall’adolescenza a Milano, fu un rinomato testimone del vedutismo, nonché dell’evoluzione di questo genere pittorico, nella prima metà del XIX secolo. Entrato nell’Accademia di Belle Arti di Brera attorno al 1802, Migliara si trovò ad alternare le lezioni di pittura di Giuseppe Bossi con quelle di ornato di Giocondo Albertolli e di architettura di Giuseppe Levati. Il carattere della sua formazione dunque gli permise di acquisire competenze di scenografo, particolarmente richieste a Milano dopo l’inaugurazione del Teatro alla Scala nel 1778, del Teatro dei Filodrammatici nel 1800 e del Teatro Carcano nel 1803. Solo in ragione della grande fortuna che Migliara ottenne in questa specifica professione, si può spiegare il ritardo con cui il pittore cominciò a esporre le sue opere su tela presso l’Accademia di Brera: nel 1812 finalmente presentò al pubblico quattro vedute milanesi e due composizioni ideali – Palazzo con tabernacolo e Veduta di città con una chiesa, entrambe oggi a Vienna al Museo Liechtenstein[2] –, da subito molto apprezzate. Il successo venne replicato cinque anni più tardi al Salon di Parigi dove portò ancora tre vedute milanesi. Il primo soggiorno a Venezia nel 1820 gli permise di cimentarsi con le prospettive della patria del vedutismo settecentesco: Migliara da un lato si mostra dipendente dalla cultura razionale e ‘illuminista’ di matrice canalettiana, ma d’altro canto è pienamente partecipe della temperie del nuovo secolo e dei suoi risvolti dal punto di vista sociale[3]. Intanto rispetto all’epoca di Canaletto il mercato si era allargato ai ceti borghesi: e questo significava per un pittore di successo non dedicarsi unicamente ai soggetti su tela – dall’elaborazione più compassata e ovviamente costosa, e quindi prerogativa delle committenze aristocratiche –, ma pure alle litografie, alle illustrazioni a stampa, agli acquerelli e ai celebri fixés sous verre[4] – le miniature su piccole lastre di vetro che venivano eseguite dai pittori ‘au revers’, in modo da poter essere ammirate dall’altro lato della placchetta –. In seconda battuta le città erano diventate il luogo motore del cambiamento: i cieli dei dipinti dell’artista spesso si dividono in parti luminose e ombrate; vi sono nuvole cariche che si sollevano e squarci di sereno, a indicare come sia ipotizzabile ogni repentino mutamento climatico, quasi una metafora in cielo delle rivoluzioni che avevano già avuto corso in terra e che, si sospettava, prima o poi nella storia sarebbero riapparse all’orizzonte.
Migliara dunque divenne un formidabile divulgatore della nuova interpretazione della veduta, genere atto a raccontare “la società con i suoi mille episodi”[5]. Nondimeno la novella civiltà borghese aveva restituito dignità al lavoro, e Migliara, come pure altri maestri della stessa epoca, appare assai consapevole dell’importanza dell’elaborazione nella sua arte, del lavoro quindi che precedeva necessariamente le opere concluse. Molti studi e modelli del pittore appaiono dunque non finiti, proprio per mostrare la lunghezza del processo d’ideazione, esecuzione e finitura dei suoi soggetti. Tali modelli e bozzetti palesano dunque due ragioni formali diverse: da un lato sono prove su carta di dipinti che verranno successivamente eseguiti su tela; d’altro canto risultano essere essi stessi opere finite – destinate dunque alla vendita –, che evidenziano il meticoloso lavoro di preparazione da parte dell’artista e dunque implicitamente la qualità delle sue creazioni.
La Veduta di Piazza San Marco verso la Piazzetta qui analizzata è preparatoria per uno dei dipinti più celebri di Migliara: la tela che oggi si conserva nelle raccolte dei Civici Musei d’Arte e di Storia di Brescia (inv. 402), e che era stata scelta per essere esposta “innanzi al suo feretro” durante la cerimonia funebre del pittore nell’aprile del 1837[6]. Proprio a causa dell’improvvisa morte il dipinto, una Veduta di piazza San Marco dopo un temporale, rimase incompiuto, con le figure appena abbozzate dei popolani sotto i pennoni con le bandiere dell’impero d’Austria. Se dunque il carattere sospeso del dipinto si deve attribuire alla scomparsa dell’artista, l’indole di ‘non finito’ nello studio qui in esame è invece una scelta poetica pienamente consapevole. Migliara mostra la delicatezza dei segni a gesso nero, la precisione estrema della penna – si veda soprattutto la minuziosità con cui vengono proposte le decorazioni della facciata della basilica, laddove pure il numero delle colonne collocate tra le aperture delle arcate appare studiato meticolosamente dal vero -, l’accuratezza dell’acquerello e persino la selezione metodica delle parti lasciate senza colore. Tutto concorre a far diventare questo dipinto un’indagine profonda e sincera sul lavoro dell’artista. Superati i cinquant’anni e giunto alla fine della sua parabola, Migliara era unanimemente riconosciuto come uno dei maestri più importanti della penisola italiana – pittore di corte a partire dal 1833 sia a Torino che a Napoli –; la sua era dunque la voce più autorevole per affermare il rilievo sociale dell’arte e la sua capacità di rappresentare un mondo in perpetua costruzione. Se il dipinto di Brescia, come ha sostenuto Giuseppe Pavanello, era un vero e proprio “reportage visivo” dell’attualità veneziana[7], anche il modello appare intriso del medesimo umore di immediatezza espressiva. E tutto ciò nonostante la struttura compendiaria, quasi da quinta teatrale, della composizione: prova di bravura di un artista lontano da ogni artificiosità formale e dunque testimone esemplare dei sentimenti e della temperie della nuova epoca.

 



[1] Su Migliara, oltre alle monografie storiche degli anni ’30 del Novecento, si rimanda soprattutto a: D. Sanguineti, Omaggio a Giovanni Migliara (1785 – 1837), in Giovanni Migliara, a cura di D. Causa, catalogo della mostra (Alessandria, Sala d’Arte, 1-30/9/2006), Alessandria 2006, pp. 8-18; L. Facchin, voce Migliara, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani, 74, Roma 2006, pp. 352-354; L. Mana, Per una biografia ragionata di Giovanni Migliara (1785 – 1837). L’artista, il suo tempo, gli amici, i committenti, in Giovanni Migliara. Viaggio in Italia, a cura di S. Rebora, catalogo della mostra (Torino, Museo di arti decorative Accorsi-Ometto, 28/2 – 16/6/2019, Cinisello Balsamo, Milano 2019, pp. 26-33.

[2] M. Natale, in Venezianische Kunst in der Schweiz und in Liechtenstein, a cura dello stesso, catalogo della mostra (Pfäffikon, Seedamm-Kulturzentrum, 18/6 – 27/8/1978; Ginevra, Musée d’art et d’histoire, 8/9 – 5/11/1978), Milano 1978, p. 204, n. 187.

[3] M. Pittaluga, Le “vedute veneziane” di Giovanni Migliara, in “Arte veneta”, VIII, 1954, pp. 334-337.

[4] Giovanni Migliara. Acquerelli e preziosi fixé, a cura di M. Tomiato, catalogo della mostra (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 7/3 – 9/6/2013), Torino 2013.

[5] G. Sacchi, Giovanni Migliara, in “Cosmorama pittorico”, III, 1837, 17, pp. 130-133 (p. 130).

[6] M. Mondini, in Lo splendore di Venezia. Canaletto, Bellotto, Guardi e i vedutisti dell’Ottocento, a cura di D. Dotti, catalogo della mostra (Brescia, Palazzo Martinengo Cesaresco, 23/1 – 12/6/2016), Cinisello Balsamo, Milano 2016, pp. 156-157, n. 43.

[7] G. Pavanello, in Venezia nell'Ottocento. Immagini e mito, a cura dello stesso e di G. Romanelli, catalogo della mostra (Venezia, Museo Correr, 1/12/1983 – 31/3/1984), Milano 1983, p. 65, n. 60.

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